Abuso del processo e responsabilità aggravata
Sentenza Corte d'Appello di Venezia, Sezione Terza Civile, Pres. est. Coltro, sentenza n. 1460 del 25 luglio 2024.
Massime
Onere probatorio.
In tema di onere probatorio, il creditore che agisca per la condanna del debitore deve fornire prove chiare e complete circa i crediti vantati, inclusi i contratti di cessione e le fatture di riferimento. La domanda di accessori deve essere coerente con il capitale richiesto, e ogni riduzione significativa di quest'ultimo deve essere adeguatamente giustificata.
L'Azienda Ulss, quale Pubblica Amministrazione può procedere al pagamento delle fatture solo a fronte di perfetta corrispondenza fra ordine, DDT e fattura regolarmente trasmessa (considerate poi le fatture elettroniche trasmesse col sistema di interscambio) per ragioni amministrative e di responsabilità contabile, la documentazione incompleta e caoticamente allegata da parte attrice impedisce qualsivoglia controllo e quantificazione, anche a mezzo di eventuale CTU.
Onere di allegazione.
Chi agisce in giudizio non deve proporre la sua pretesa in modo generico, bensì deve consentire che il suo contenuto sia compiutamente identificato e percepito, affinché possa essere oggetto di accertamento, in fatto e in diritto. Una domanda meramente assertiva, in quanto completamente spoglia da ogni allegazione che ne concretizzi il supporto fattuale anche nell'ipotesi in cui l'onere della prova di tale supporto non gravi poi sull'attore, non è idonea a tutelare il diritto sostanziale che le sarebbe sotteso. Chi giurisdizionalmente agisce avvia un meccanismo accertatorio che, quanto al fatto, è anche probatorio; e in quest'ultimo caso l'allegazione ne è il presupposto imprescindibile in quanto circoscrive i fatti sui quali quest'ultimo si esplica. Il giudice infatti, come sintetizza un noto brocardo, non decide iuxta probata, bensì iuxta alligata et probata partium. Principio, questo, che governa appunto il giudizio di fatto (cfr. Cass. sez. 6-3, ord. 6 novembre 2013 n. 24861, Cass. sez. L, 25 marzo 2010 n. 7190 e Cass. sez. L, 12 maggio 1986 n. 3143) - così come l'opposto jura novit curia quello di diritto -, e si correla al diritto di difesa, in quanto la decisione non può che fondarsi su fatti conosciuti, così che al riguardo sia possibile accendere contraddittorio ed esercitare difesa (cfr. Cass. sez. 2, 6 settembre 2002 n. 12980 e Cass. sez. 2, 15 febbraio 1983 n. 1165); parimenti, l'allegazione è necessaria per individuare il possibile oggetto della contestazione, la cui valenza in senso negativo non a caso è incrementata dopo la novellazione, operata dalla I. 18 giugno 2009 n. 69, dell'articolo 115 c.p.c. (cfr., al riguardo, Cass. sez. 3, 22 settembre 2017 n. 22055 e Cass. sez. 3, 21 giugno 2016 n. 12748). L'allegazione, infatti, racchiude una intensa natura di specificità proprio perché deve fondare il thema decidendum del giudizio di fatto.
La mancanza di allegazioni non può esser superata facendo generico riferimento ai documenti dimessi in quanto il tutto imporrebbe alla Corte, un improprio onere di ricerca a fini esplorativi con lesione del diritto di difesa di controparte.
Il thema decidendum anteriore al thema probandum si forma in primo grado entro i termini di cui all'art. 183 6^ co. Cod. proc. Civ. irrilevanti le diverse allegazioni in secondo grado.
Abuso del processo
La presentazione di un appello fondato su motivi palesemente inammissibili, rende l'impugnazione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l'accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art. 6 CEDU) e dall'altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie; essa, pertanto, costituisce condotta oggettivamente valutabile come "abuso del processo", poiché determina un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali e si presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna del soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., la quale configura una sanzione di carattere pubblicistico che non richiede l'accertamento dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa dell'agente ma unicamente quello della sua condotta processualmente abusiva, consistente nell'avere agito o resistito pretestuosamente.
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di Avv. Giovanni Stefano Messuri